“Il comandante Peary raccontò che una volta, nel suo viaggio al Polo Nord, per un giorno intero viaggiò verso il nord, facendo correre vivacemente i suoi cani da slitta.
La sera controllò le sue bussole per determinare la latitudine, ma con sua grande sorpresa si accorse di essere molto più a sud del mattino precedente. Per tutta la giornata aveva viaggiato faticosamente verso il nord camminando sulla superficie di un enorme iceberg trascinato a sud dalla corrente oceanica.”

Josè Ortega y Gasset

Questa metafora esprime molto chiaramente il nostro modo di pensare rispetto ai concetti di malattia e di sofferenza psichica: l’idea che l’uomo non è isolato, ma partecipa, agisce e reagisce all’interno di gruppi sociali: ciò che per lui è reale dipende da componenti esterne ed interne.

Uno degli obiettivi centrali di ogni terapia è la soluzione dello stato di sofferenza per cui è stato richiesto l’intervento: la sofferenza, il sintomo psichiatrico, la pazzia assumono però significati diversi a seconda di come ci si confronta con essi.
Per anni si è impostato lo studio della malattia mentale partendo da elementi eziologici e patogenetici riconducibili all’individuo, il solo depositario della patologia. La malattia è stata sempre considerata come fattore intrinseco dell’individuo e in quanto tale curabile esclusivamente attraverso lo studio della natura del paziente, cercando al suo interno le cause del disturbo.
Noi invece consideriamo la malattia come segnale di un disagio più vasto che condiziona ed è condizionato da altre realtà.
Questo ci porta ad osservare il significato relazionale e le implicazioni proprie del contesto familiare e sociale in cui il comportamento disturbato ha preso vita.
In questo modo la terapia permetterà al paziente di superare le proprie difficoltà all’interno di un contesto mutato in cui verranno riscoperte e attivate potenzialità prima inespresse, che daranno un significato diverso al disturbo, non più visto come stigma, ma come occasione di crescita di un gruppo con una storia alle spalle.
Il nostro modo di fare terapia familiare, di coppia o psicoterapia individuale trae i suoi fondamenti teorici ed epistemologici dalla Psicologia Relazionale ed in particolare dal modello Strutturale Esperienziale (Minuchin, Whitaker), con particolare attenzione alla storia della famiglia (approccio trigenerazionale di Boszormenyj-Nagy, Bowen e Andolfi) e all’individuo, inteso come soggetto che organizza i propri processi conoscitivi (cognitivi ed emotivi) in base al modo in cui si “con-pone” nei contesti conversazionali familiari e sociali.
Il modo in cui ciascun soggetto costruisce la realtà risulta infatti coerente con la particolare posizione che il soggetto occupa nel suo sistema di relazioni significative. Il sintomo allora acquista significato quando viene riconnesso al sistema di credenze, di aspettative e ai miti  propri del contesto familiare di riferimento, attraverso un lavoro di ricostruzione dei nessi tra emozioni, pensieri ed accadimenti.
Grande importanza e attenzione viene rivolta alla relazione terapeutica ed al rapporto tra famiglia ed individuo e fra questi e il suo mondo interno. Attraverso la relazione significativa con il terapeuta sarà possibile fare esperienza di nuove modalità relazionali mediante il disvelamento delle storie e dei significati familiari.
La nostra prassi terapeutica prevede l’utilizzo di metafore, oggetti metaforici, sculture, disegni, foto e collages, in quanto tali strumenti consentono di accedere a parti della famiglia e dei suoi membri difficilmente accessibili attraverso il canale verbale.
Sappiamo infatti dai lavori di Stern e de Bernart che solo attraverso il canale non verbale e corporeo è possibile accedere al materiale implicito del contenuto della relazione. Tale materiale rappresenta l’80% del non conscio e regolerebbe gran parte dei rapporti fra le persone.

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